A cura dell’avv. M. Cristina Capurso del Foro di Trani
Articolo pubblicato sulla rivista: L’Osservatorio sul Diritto di Famiglia, Diritto e processo, anno IX, fasc. I, gennaio-aprile 2025 * **
La violenza domestica, intesa come un fenomeno che coinvolge, oltre alla vittima diretta, anche i minori che assistono a tali atti, è uno dei problemi sociali ed economici più gravi e complessi in molti Paesi, tra cui l’Italia. I dati statistici relativi al fenomeno in Italia evidenziano la diffusione del problema e le sue implicazioni per le politiche sociali e legislative. Sia la violenza contro le donne che quella contro i bambini producono dei rilevanti costi sociali economici, che superano la dimensione privata e familiare per assumere una rilevanza pubblica dall’impatto macroeconomico particolarmente significativo. La presa d’atto della gravità del fenomeno e l’adesione alla Convenzione di Istanbul, nonché il dibattito creatosi, hanno indotto il legislatore italiano ad implementare l’ordinamento con nuovi strumenti atti a prevenire e combattere la violenza contro le donne e contro i minori che vi assistono. Tale sviluppo normativo, però, ha riguardato soprattutto il settore penale in sintonia con la tendenza del legislatore italiano ad affrontare le problematiche in maniera non organica, agendo sull’emergenza in una logica incentrata sul mantenimento della sicurezza sociale e dell’ordine pubblico. Ciò che è venuto in evidenza è che , nonostante il rafforzamento dell’apparato penale, l’incidenza statistica delle condotte di violenza domestica non ha segnato dei miglioramenti. In ambito civile, invece, non vi è stata una uguale attenzione, se non in un momento più recente con la c.d. riforma c.d. Cartabia nel processo civile, che ha dato risalto alla violenza domestica anche nei processi della famiglia e dei minori, ‘rivendicando’ la centralità della tutela e garanzia dei diritti fondamentali dei singoli componenti della rete familiare. A fronte di tale quadro normativo sicuramente già di per sé astrattamente idoneo a contrastare il fenomeno della violenza di genere e, così dei minori coinvolti sia direttamente che indirettamente, per quanto riguarda la sua applicazione , a fronte di uno sviluppo particolarmente ricco sul piano penale, in ambito civile si è assistito a una minore attenzione, privilegiando l’applicazione del principio della bigenitorialità. Tale sottovalutazione continua ad avere come effetto il verificarsi di fenomeni di vittimizzazione secondaria in danno delle madri e dei figli, esposti a condotte violente. Si potrebbe, a questo punto, tentare di invertire l’ottica giudiziaria anche nel settore civile, partendo da una presunzione di disfunzionalità/inidoneità del genitore violento, adottando tempestivamente tutti i provvedimenti conseguenti, ivi compresi il regime di affido esclusivo e di limitazioni e controllo delle frequentazioni con le cautele necessarie. Per gli stessi fini devono essere garantiti provvedimenti coordinati e culturalmente adeguati attuati con la formazione del personale, che a vario titolo è chiamato ad operare in tali situazioni.
Domestic violence, understood as a phenomenon that involves, in addition to the direct victim, also minors who witness such acts, is one of the most serious and complex social and economic problems in many countries, including Italy. The statistical data relating to the phenomenon in Italy highlight the spread of the problem and its implications for social and legislative policies. Both violence against women and violence against children produce significant social and economic costs, which extend beyond the private and family circle to assume a public relevance with a particularly significant macroeconomic impact. The recognition of the seriousness of the phenomenon and the accession to the Istanbul Convention, as well as the debate that arose, have led the Italian legislator to implement the legal system with new tools to prevent and combat violence against women and minors who witness it. This regulatory development, however, has mainly concerned the criminal sector in line with the tendency of the Italian legislator to address the problems in a non-organic way, acting on the emergency in a logic focused on maintaining social security and public order. What has come to light is that, despite the strengthening of the penal system, the statistical incidence of domestic violence has not shown any improvements. In the civil sphere, however, there has not been equal attention, except recently with the so-called Cartabia reform in the civil process, which has given prominence to domestic violence also in family and minors’ trials, ‘claiming’ the centrality of the protection and guarantee of the fundamental rights of the individual members of the family network. In the face of this regulatory framework, certainly already abstractly suitable in itself to combat the phenomenon of gender violence and, thus, of the minors involved both directly and indirectly, as regards its application, in the face of a particularly rich development in the penal sphere, in the civil sphere there has been less attention, privileging the application of the principle of bi-parenting. This underestimation continues to have as effect a secondary victimization phenomena of mothers and children, exposed to violent conduct. At this point, one possibility could be to try to reverse the judicial perspective also in the civil sector, starting from a presumption of dysfunction/unsuitability of the violent parent, promptly adopting all the consequent measures, including the regime of exclusive custody and limitations and control of visits with the necessary precautions. For the same purposes, coordinated and culturally adequate measures must be guaranteed, implemented with the training of personnel, who in various capacities are called upon to operate in such situations.
*Contributo pubblicato previo parere favorevole, con modalità Anonima, da un esperto esterno al Comitato scientifico.
** Lo scritto è una rielaborazione, aggiornata, di una relazione tenuta il 29.11.2024 al Congresso Nazionale della Società Italiana per la Psicoterapia e la Riabilitazione Forense: “Minori e famiglie problematiche: prospettive psicoterapiche e riabilitative.”.
Indice:
1. Premessa
2. Il fenomeno in Italia: i dati statistici
3. Il costo sociale ed economico della violenza assistita
4. La normativa
5. La giurisprudenza
6. Conclusioni.
1. Premessa
Negli ultimi tempi, la discussione sulla violenza contro le donne è divenuta centrale, non solo per l’ampiezza del fenomeno, che assume proporzioni allarmanti in molti Paesi, ma anche per le gravi ripercussioni che ha sulle vittime e su chi è testimone di tali atti, in particolare i figli per lo più minori, nei contesti di conflitto domestico. Questo problema influisce anche sulla società nel suo insieme.
Anche se è da tempo riconosciuto che la violenza di genere viola i diritti fondamentali e rientra tra le violazioni dei diritti umani, c’è ancora un lungo cammino da percorrere per garantire a donne e minori una vita senza violenza, basata sul reciproco rispetto di tutti i componenti.
L’unità della famiglia e la preservazione della stessa ad ogni costo non può in alcun modo costituire giustificazione alla violenza. Infatti, i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale evidenziano che il gruppo familiare costituisce il luogo dell’esplicazione dell’individualità dei singoli e non una formazione collettiva portatrice di un proprio interesse. Con la conseguenza che la tutela della persona è destinata a produrre la rottura dell’unità familiare perché il nostro ordinamento rifiuta, appunto, relazioni intersoggettive basate su violenza e prevaricazione.
2.Il fenomeno in Italia: i dati statistici.
L’approccio statistico è centrale in quanto ‘contare’ dà cognizione di un problema e informa le politiche globali e legislative di una nazione. L’importanza di tali dati per le politiche per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne è stata espressamente ratificata dall’art. 11 della Convenzione di Istanbul[1]. È con la sua ratifica, nel 2013, che la dimensione statistica della violenza di genere assurge anche in Italia a tema politicamente riconosciuto e consente di avere informazioni e dati di qualità, consentendo -tra l’altro- di studiarne le cause e gli effetti, nonché l’efficacia delle misure di contrasto.
Nelle stesse rilevazioni ISTAT, dunque, il fenomeno della violenza intrafamiliare e, in particolare, della violenza assistita, appare imponente. In Italia, la violenza assistita[2], cioè quella che i bambini vedono subire dalle proprie madri nell’ambiente domestico, è presente in oltre la metà dei casi di maltrattamenti domestici contro le donne. Nonostante la sua rilevanza e la sua diffusione, non è facile conoscere esattamente il numero di casi di violenza assistita in Italia. Essa può essere considerata l’altra faccia della violenza di genere, in quanto nella maggior parte dei casi, gli episodi di violenza assistita ai danni dei minori si verificano in contesti di violenza domestica in cui la vittima è una donna.
Qui di seguito si esaminano i dati elaborati dall’ISTAT e pubblicati il 25 novembre 2024 [3] sulla base delle chiamate (telefoniche e via chat) ricevute dal numero di pubblica utilità 1522 [4] da persone che si rivolgono alla helpline per chiedere aiuto per sé e che hanno subito anche una forma di violenza, sia dagli utenti, quanti cioè si rivolgono alle operatrici per chiedere aiuto per sé o per altri. I dati si riferiscono al terzo trimestre 2024 (in aggiunta a quelli inerenti al primo e secondo).
Dai dati pubblicati, dunque, emerge che, in continuità con i trimestri precedenti, la tipologia di violenza “principale” subita da circa la metà delle vittime è quella fisica (43,1%), seguita da quella psicologica (35%). Considerando i casi di vittime che hanno subito due o più tipi di violenze, la violenza psicologica risulta quella maggiormente associata ad altre forme di abuso con un totale di 1.980 casi. In continuità con i trimestri precedenti, la tipologia di violenza “principale” subita da circa la metà delle vittime è quella fisica (43,1%), seguita da quella psicologica (35%). Esaminando il complesso delle violenze riportate, oltre alle forme fisiche e psicologiche, emergono in particolare le minacce (1.868) e gli atti persecutori (867) come tipologie più frequenti. Significativa è anche la quota di segnalazioni per violenza economica (906).
In linea con i dati precedenti, emerge la lunga durata degli atti violenti, già evidenziata in passato: oltre la metà delle vittime (52,3%) riferisce di aver subito violenza per anni. Questa esposizione prolungata ha un impatto significativo sui comportamenti delle donne che hanno vissuto la violenza; infatti, il 61,7% delle vittime soffre di ansia e si trova in un grave stato di soggezione; il 15,9% ha avuto paura di morire o ha provato timore per l’incolumità propria o dei propri cari.
Un altro dato che conferma la continuità della dinamica della violenza segnalata al 1522 riguarda il luogo in cui essa avviene: la percentuale di vittime che indica la casa come scenario della violenza rimane sostanzialmente invariata, attestandosi al 72%. Il fatto che la violenza avvenga principalmente in ambito familiare spiega la prevalenza delle figure del partner o ex-partner come principali autori della violenza: il 50% delle vittime segnala il partner attuale (convivente o meno) come autore, il 21% l’ex partner, lo 0,5% un partner occasionale, e l’11% i familiari.
Nel terzo trimestre del 2024 si conferma anche il dato per il quale il 73% delle vittime che si rivolgono al servizio non denuncia la violenza subita alle autorità competenti. I principali motivi di questa mancata denuncia sono ancora la paura e il timore delle reazioni dell’autore, che coinvolgono il 37,5% dei casi.
I dati di cui sopra giustificano l’elevata percentuale di casi di violenza assistita: oltre la metà delle vittime (58,6%) ha figli, e di queste, il 54% dichiara di avere figli minori. Inoltre, il 21,3% delle vittime riporta che i propri figli hanno assistito e subito la violenza, mentre nel 32,5% dei casi i figli hanno solo assistito alla violenza. Dalle tavole inerenti i primi due trimestri emerge che la violenza assistita genera reazioni di inquietudine (sono 1.211 i casi nei due trimestri del 2024) ma anche aggressività, comportamenti adultizzati di accudimento degli adulti, paure e ipermaturità, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno, difficoltà nel comportamento alimentare.
Quanto appena riferito risulta confermativo delle rilevazioni effettuate in una precedente pubblicazione del 2021 [5],curata dal CISMAI insieme con Terre des Hommes Italia, su commissione dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, dalla quale emerge che i bambini e ragazzi presi in carico dai servizi sociali sono 401.766, di cui 77.493 vittime di maltrattamento. Di questi il 32,4% è vittima di violenza assistita.
La letteratura scientifica ha evidenziato più volte gli effetti a lungo termine della violenza assistita, quali impotenza, colpa, vergogna, stigmatizzazione, bassa autostima, impulsività, aggressività, passività, dipendenza, sintomi somatici, sintomi e disturbi dissociativi, disturbi alimentari, abuso di sostanze, difficoltà di autoprotezione, difficoltà genitoriali (ad esempio, scarsa protettività, atteggiamento iper ansioso), trascuratezza fisica ed emotiva, violenza fisica, psicologica, sessuale ai danni di partner e figli e/o di terze persone’[6]. In particolare, rispetto alla trasmissione intergenerazionale della violenza, dal documento ISTAT del 2014 relativo alla violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia emerge che i figli che assistono alla violenza del padre nei confronti della madre hanno una probabilità maggiore (22% dei casi) di essere autori di violenza verso le proprie compagne e le figlie di esserne vittime[7]. Non vi sono dati più recenti in merito.
3.Il costo sociale ed economico della violenza assistita.
Sia la violenza contro le donne che quella contro i bambini producono dei rilevanti costi sociali economici, che superano la dimensione privata e familiare per assumere una rilevanza pubblica dall’impatto macroeconomico particolarmente significativo.
Pur non essendoci stime specifiche in ordine alla violenza assistita, il “costo” del maltrattamento, in cui essa è ricompresa è altissimo per l’impatto sulla salute e sul futuro del bambino e per le ricadute economiche sulla spesa pubblica. Un bambino maltrattato pesa in modo significativo sui bilanci dei Comuni, sui bilanci delle Aziende Sanitarie e dei centri di salute mentale, così come sui bilanci della Giustizia. E questo sia considerando la concomitanza con i comportamenti maltrattanti, per la sua protezione e tutela, che nel futuro, perché il maltrattamento ha un’alta probabilità di sviluppare nella vittima in età adulta patologie sanitarie anche gravi (dipendenza, malattie mentali, disabilità, disturbi cardiovascolari, disturbi psicologici etc.), devianze e criminalità, disoccupazione e perdita di reddito, incidendo, dunque, sul bilancio dello Stato e sulla perdita di produttività e di PIL. Per l’Italia, Terre des hommes, in collaborazione con Cismai e Università Bocconi, ha valutato, con riferimento al 2010, che il costo economico e sociale della violenza contro i bambini per i soli servizi offerti dallo Stato, sia di tipo diretto che indiretto, arriva a 13 miliardi di Euro, equivalenti allo 0,84% del PIL nazionale[8].
Investire dunque nella prevenzione e contrasto al maltrattamento sui bambini rappresenta una scelta politica strutturale di medio-lungo termine, alla cui base vi deve essere non solo la determinazione e quantificazione del costo dell’investimento, ma anche la considerazione della restituzione in termini di benefici e vantaggi, sia sociali che economici, che ne possono derivare per tutti. L’intera azione programmatica del Paese va ,dunque, ridefinita ricomprendendo nell’investimento anche il capitale umano. Una politica economica che punti anche sulla dimensione umana e sul suo sviluppo non può che avere effetti positivi sull’economia e il benessere complessivo della società[9].
4.La normativa.
Domanda necessaria a questo punto è se, a fronte di questi bambini che sperimentano una grave distorsione nelle relazioni familiari, basate non sull’amore e sul rispetto, ma sulla sopraffazione e sul potere, a fronte di questa sofferenza immensa per lo più nascosta dietro le porte , lontana dagli sguardi, che sembra non cessare mai, si hanno gli strumenti legali per perseguire il loro interesse e come vengono applicati dagli operatori del diritto. Sono tutelati i minori che assistono a violenze dentro le mura domestiche?
Ruolo centrale in tale materia è rivestito dalla Convenzione di Istanbul che, fin dalla sua adozione, ha contribuito a cambiamenti politici, culturali e legislativi[10].
A tale normativa si deve il merito di aver codificato per la prima volta la violenza assistita, affermando nel preambolo che “i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia”.
Le disposizioni fondamentali in tema di violenza assistita, per quanto riguarda il diritto sostanziale, sono contenute nell’art. 31, ove è previsto:
“1 Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.
2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini” e nell’art.45, che afferma al secondo comma “Le Parti possono adottare altre misure nei confronti degli autori dei reati, quali: (…) – la privazione della patria podestà, se l’interesse superiore del bambino, che può comprendere la sicurezza della vittima, non può essere garantito in nessun altro modo”.
Altra norma centrale è contenuta nel capitolo IV (‘Protezione e sostegno’) all’art. 17, ove è riportato:
“Le Parti adottano le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza. (…)
3 Le Parti si accertano che le misure adottate in virtù del presente capitolo: – siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; – siano basate su un approccio integrato che prenda in considerazione il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro più ampio contesto sociale; – mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria; – mirino ad accrescere l’autonomia e l’indipendenza economica delle donne vittime di violenze; – consentano, se del caso, di disporre negli stessi locali di una serie di servizi di protezione e di supporto; – soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili.”.
Come accennato il 01 giugno 2023, l’Unione europea ha concluso, con due decisioni del Consiglio, il processo di adesione alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa per la prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. L’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul non è solo un atto politico: dal punto di vista giuridico comporta dei chiari obblighi di attuarne le disposizioni in capo all’UE e ai suoi Stati membri.
Tale affermazione, dunque, ha una duplice conseguenza : da una parte, l’obbligo per il legislatore italiano di rispettare la Convenzione e di adeguarsi, incorrendo in difetto in una possibile declaratoria di incostituzionalità ai sensi dell’art. 117, 1° co., Cost. ; dall’altra, il giudice interno, a norma del cit. art. 117 Cost., che ‘costituisce il parametro di legittimità, non soltanto delle decisioni giudiziarie nazionali, ma prima ancora della normativa nazionale e regionale’, è chiamato a fare applicazione obbligatoria e integrale della preminente normativa comunitaria, assicurando – laddove possibile in base al dato letterale della legge italiana- una lettura conforme alla Convenzione medesima “per dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce”[11].
In adempimento, dunque, della normativa sovranazionale e del dibattito sviluppatosi, il legislatore italiano ha progressivamente implementato l’ordinamento con nuovi strumenti atti a prevenire e combattere la violenza contro le donne e contro i minori che vi assistono.
Tale sviluppo normativo, però, ha riguardato soprattutto il settore penale, nel quale sono state introdotte nuove fattispecie di reato, sono state inasprite le pene e modificate/integrate le procedure in direzione soprattutto della accelerazione dei tempi della presa in carico della notizia di reato da parte della Autorità giudiziaria e della Polizia giudiziaria. Ciò in sintonia con la tendenza del legislatore italiano di affrontare le problematiche in maniera non organica, agendo sull’emergenza in una logica incentrata sul mantenimento della sicurezza sociale e dell’ordine pubblico.
Ciò che è venuto in evidenza è che , nonostante il rafforzamento dell’apparato penale, l’incidenza statistica delle condotte di violenza domestica non ha segnato dei miglioramenti[12].
In ambito civile, invece, non vi è stata una uguale attenzione, se non in un momento più recente, affrontando la materia come se si trattasse di un completamento dei mezzi di tutela adottati sul piano penale.
Dalle analisi compiute è emersa una sostanziale invisibilità della violenza di genere e domestica, nonché conseguentemente della violenza assistita, nei tribunali civili, nei quali la situazione è apparsa critica e arretrata rispetto a quella emersa nel settore penale[13]. Non è stata prestata, in altre parole, per lungo tempo da parte del legislatore e degli operatori giudiziari una analoga attenzione al fatto che nel rapporto familiare, sono agiti i comportamenti di violenza psicologica, fisica, sessuale e economica, che danneggiano gravemente e rendono vulnerabili le vittime dirette e i figli che assistono, i cui effetti non possono in alcun modo essere ignorati proprio nei procedimenti chiamati a regolare l’affidamento dei figli e la responsabilità genitoriale.
In questo contesto, dunque, è stata approvata, con D.lgs. 10.10.2022, n.149, la riforma c.d. Cartabia nel processo civile, che ha dato risalto alla violenza domestica anche nei processi della famiglia e dei minori, ‘rivendicando’ la centralità della tutela e garanzia dei diritti fondamentali dei singoli componenti della rete familiare anche prima della ufficializzazione della crisi. La nuova normativa, infatti, si applica in tutti quei procedimenti in cui “siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori” (art. 473-bis.40 c.p.c.).
Nello specifico con la riforma è stato inserito nel codice di procedura civile un nuovo Titolo IV bis, c.p.c., il Capo III “Disposizioni speciali”, Sezione I “Della Violenza domestica o di genere”, ove è regolamentato un procedimento semplificato e deformalizzato, con corsia preferenziale, in cui il Giudice accerta le allegazioni di violenza, anche in modo sommario, con poteri istruttori officiosi e atipici (artt. 473-bis.42 e 44), nella finalità dell’adozione dei provvedimenti più idonei per la tutela della vittima e dei minori, rispetto ai quali deve disciplinare il diritto di visita ‘con modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza’ (art. 473-bis.46).
Inoltre, sono state introdotte disposizioni di coordinamento tra autorità giudiziarie (v. artt.38,1° co., disp. att. c.c. e art. 473-bis.42,1°co., c.p.c.)[14] e meccanismi diretti ad evitare forme di vittimizzazione secondaria (artt.473-bis.42, ult. co., 473-bis. 43 c.p.c.). Con riferimento specifico all’ascolto del minore, il giudice, oltre a procedervi personalmente e senza ritardo, deve evitare ogni contatto diretto tra lui e la persona indicata come autore degli abusi e delle violenze, evitando di ascoltarlo quando tale adempimento sia stato effettuato in modo ritenuto sufficiente e esaustivo in altro procedimento. nonché astenersi da inutili duplicazioni dell’ascolto, quando già effettuato in altro procedimento (art. 473-bis.45).
5. La giurisprudenza.
A fronte, dunque, di questo quadro normativo sicuramente già di per sé astrattamente idoneo a contrastare il fenomeno della violenza di genere e, così dei minori coinvolti sia direttamente che indirettamente, cosa avviene nella giurisprudenza?
Anche in questo caso rispetto a uno sviluppo particolarmente ricco sul piano penale[15], anche se con alternanze interpretative, in ambito civile si è assistito a una minore attenzione per il fenomeno della violenza assistita, privilegiando l’applicazione del principio della bigenitorialità.
Prima di affrontare la problematica nell’ambito del processo civile, e pur nella consapevolezza della diversità dei principi e finalità che regolano il procedimento penale e quello civile[16], appare opportuno far riferimento a recenti pronunzie penali della Suprema Corte, che sollecitano l’attenzione sul riconoscimento degli effetti e del danno derivanti dal fare assistere abitualmente il bambino ad atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori, recependo così concetti mutuati dalla comunità scientifica.
Con la sentenza 05.10.2023 n.47121 la Corte di Cassazione, in sede penale, ha affermato che “sussiste violenza assistita a prescindere dall’età del minorenne, purché il numero, la qualità e gravità (non dovendo, peraltro, necessariamente consistere nell’uso di violenza fisica) e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico” (nella specie il bambino aveva pochi mesi). La Corte afferma una ‘presunzione di offensività’ e di pregiudizio del minore derivante dalla violenza assistita”[17], specificando che nell’ipotesi di maltrattamenti assistiti non vi è ragione di essere incerti sull’offensività “in astratto” della fattispecie, non essendovi “motivo di dubitare del possibile danno derivante anche in bambini in età tenerissima, il cui sviluppo neurobiologico, nelle prime fasi, appare, anzi, particolarmente delicato e potrebbe, quindi, essere vieppiù compromesso, proprio per l’impossibilità/difficoltà, per il neonato e l’infante, di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti”. In tali casi “gli effetti della compromissione del sano sviluppo psico-fisico del bambino possono emergere a distanza di anche molto tempo dal fatto”[18]. Ancora è stato specificato che le condotte vessatorie realizzate in presenza dei minori non è necessario abbiano il contenuto proprio della violenza fisica, potendo apprezzarsi a tal fine anche quelle verbalmente violente o tipicamente dispregiative che contribuiscono, nella loro abitualità, a dare corpo al contesto maltrattante e altrettanto pregiudizievole per i medesimi minori[19]. Inoltre, “i fatti commissivi abitualmente lesivi della personalità del coniuge maltrattato possono integrare il delitto di cui all’art. 572 c.p. anche nei confronti dei soggetti minori se, al contempo, nei loro confronti, si traducano in una “indifferenza omissiva”, frutto di una deliberata e consapevole trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali dei figli, quando, cioè, i maltrattamenti siano realizzati anche in violazione dell’art. 147 c.c. in punto di educazione ed istruzione e rispetto delle regole minimali del vivere civile, cui non si sottrae la comunità familiare regolata dall’art. 30 della Carta Costituzionale”[20]. Detti comportamenti, “per le inevitabili ripercussioni negative sull’equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell’ambiente familiare e poiché, ancora, denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesto in chi esercita la potestà parentale, possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, a norma dell’art. 330 cod. civ.”[21].
Come si è già avuto modo di dire la tutela penale non esaurisce il fenomeno, né si è dimostrata un deterrente efficace, ciò anche per il fatto che in genere le donne non vogliono denunziare, in conformità a quanto evidenziato dai dati statistici sopra riportati . Infatti , la possibilità di ottenere tutela tramite un’azione di tipo civilistico elimina l’intrinseca avversione psicologica della vittima a denunciare o querelare il partner violento in quanto padre dei loro figli e/o in quanto condizionata anche dall’ambiente in cui vive[22].
La tutela civile, dunque, si presenta molto spesso più sintonica rispetto al sentire della donna, e quindi conforme al suo progetto. Ma è proprio nel processo civile che si registrano, in nome del principio di bigenitorialità, le maggiori resistenze a dare visibilità al fenomeno della violenza assistita e a garantire una tutela temporalmente valida e atta a contenerne e arginare gli effetti.
Ciò avviene, nonostante la Suprema Corte, in sede civile, si sia espressa ormai più volte, a riguardo, sia prima che dopo l’introduzione della Riforma Cartabia, svolgendo un ruolo determinante sia al fine di tradurre la astratta disciplina in un concreto modello dell’azione giudiziaria, sia nel cogliere e adeguare l’ordinamento a elementi propulsivi dell’evoluzione del sistema, interni ed esterni alle disposizioni legali, fornendo una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata.
Il principio dell’interesse preminente del minore di fonte costituzionale e sovranazionale impone che tutte le decisioni debbano assicurare e tutelare il diritto fondamentale del bambino alla integrità psico-fisica e alla sicurezza e questo diritto, dunque, è destinato a cedere rispetto al diritto ad usufruire delle cure di entrambi i genitori. Il diritto alla bigenitorialità, quindi, non sussiste di per sé indipendentemente dagli altri diritti primari del minore e, ancor più, costituisce un diritto che trova la sua derivazione dall’effettivo adempimento del genitore dei doveri di cura, educazione e tutela del figlio. Con la conseguenza che il diritto del genitore a essere presente nella vita del minore è un dovere-diritto (art. 30 Cost.) condizionato dall’espletamento delle funzioni genitoriali di cure appropriate nei confronti dei figli. In altre parole, il diritto/dovere alla bigenitorialità è solo un mezzo attraverso il quale deve essere perseguito il costituzionalmente protetto best interest del minore[23]. Il giudice, quindi, nel caso concreto deve finalizzare il suo intervento alla tutela preminente della integrità psico-fisica del minore[24].
Più specificamente e di recente la Corte di Cassazione, in sede civile, è intervenuta in relazione alla rilevanza delle condotte di violenza domestica nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, affermando i seguenti principi:
–” Nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale in cui siano adottati i “provvedimenti convenienti” di cui all’art. 333 c.c., ove venga dedotta la commissione di condotte di violenza domestica (come definita dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con la l. n. 77 del 2013 ), il giudice, anche con riferimento a fatti anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. n. 149 del 2022 , se non esclude l’esistenza di tali fatti e intenda adottare i menzionati provvedimenti, è tenuto a valutare la compatibilità delle misure assunte con l’esigenza di evitare, nel caso concreto, possibili situazioni di vittimizzazione secondaria”;
— “La presunzione d’innocenza opera esclusivamente in sede penale e, pur dovendosi negare carattere decisivo alla sola pendenza di procedimenti penali per l’accertamento di comportamenti penalmente censurabili, il giudice civile deve comunque procedere ad una autonoma valutazione dei predetti comportamenti”[25]/[26].
Nell’adottare i provvedimenti che riguardano i minori e la responsabilità genitoriale, il giudice della famiglia, anche nel vigore delle norme previgenti alla riforma operata dal D.Lgs. 149/2022, non può trascurare l’allegazione di comportamenti violenti o aggressivi tenuti da uno o da entrambi i genitori, ai fini di ricostruire il quadro complessivo della relazione familiare, e di valutare il best interest del minore, nonché l’idoneità dei genitori a svolgere adeguatamente i loro compiti. In simili casi il giudice civile ha il dovere di accertare velocemente e accuratamente se effettivamente le allegazioni di violenza domestica hanno un fondamento o meno, anche acquisendo gli atti del processo penale, e comunque rendendo una autonoma valutazione sul punto. La archiviazione delle denunce in sede penale non può costituire esclusivo elemento di valutazione al fine di escludere che vi sia un comportamento illecito rilevante in sede civile e che debbano essere adottate in questa sede le misure preventive e protettive previste dall’ordinamento.
Il genitore che con il suo comportamento costringe il figlio ad assistere ad atti di violenza sull’altro genitore o comunque aggressivi, lede il diritto del bambino a vivere in un ambiente sano ed armonioso; e, nel caso in cui i comportamenti violenti ovvero aggressivi siano accertati, il giudice civile deve adottare misure idonee a proteggere le vittime dalla possibile reiterazione di questi comportamenti, e da contatti con un genitore inadeguato.
Ove vi sia stata violenza assistita, ed a maggior ragione violenza diretta sui figli, il rifiuto dei minori di incontrare il genitore violento non può ritenersi ingiustificato ed essere addebitato all’altro genitore. Ed ancora, ed anzi in primo luogo, vi sono esigenze di protezione delle vittime dalla possibile reiterazione di comportamenti violenti, diretti o indiretti, esigenze che perdurano quantomeno fintanto che l’autore della violenza non intraprenda con successo percorsi di recupero.
In tema di affidamento del minore e diritto di visita la diagnosi di una patologia o anomalia personologica di uno o di entrambi i genitori, rilevata e accertata dal consulente tecnico d’ufficio, anche se scientificamente fondata, non può essere recepita acriticamente dal giudice, ma deve essere inserita nel contesto della dinamica processuale in cui viene in rilievo la posizione di tutte le persone aventi diritto alla tutela della relazione familiare, non potendosi prescindere della osservazione e valutazione dei comportamenti tenuti dai genitori e dal figlio, e di tutti gli elementi che connotano la relazione familiare ai fini di accertare il miglior interesse del minore” [27].
–Per quanto riguarda la giurisprudenza civile di merito, è stato affermato che:
Costituiscono motivo di affido esclusivo e/o super esclusivo “le violenti condotte compiute nei confronti della moglie poste in essere alla presenza dei figli minori, atteso il grave pregiudizio per essi rappresentato dagli episodi di violenza assistita, posti in essere dal loro padre, incurante delle ripercussione che le proprie deplorevoli condotte avrebbero avute sui bambini e di pregiudizio al loro equilibrio e sviluppo psico-fisico”; e ancora “In tema di provvedimenti a tutela dei figli, la totale assenza del padre dalla vita del figlio così come il porre in essere, alla presenza del minore, episodi di violenza in danno del coniuge, sono aspetti che non solo giustificano ma impongono l’affidamento del minore alla madre in via super esclusiva.”[28].
Si tratta, dunque, di decisioni tutte sicuramente positive, che numericamente iniziano anche ad aumentare. Non si può ancora prevedere ovviamente quale sarà l’impatto della riforma Cartabia in termini di decisioni, essendo ancora la riforma troppo giovane. Ciò che si può dire è che accanto alle riportate decisioni positive ve ne sono altre che, pur nella vigenza della Convenzione di Istanbul, sono di segno opposto[29].
Vale ricordare, a riguardo, anche le decisioni della CEDU di condanna dell’Italia in materia di affidamento e responsabilità genitoriale, e così : – la causa Talpis contro Italia (02.03.2017), in cui l’Italia è stata condannata per violazione degli artt. 14, 2 e 3 della Convenzione, per non aver assicurato protezione ai bambini e alle altre persone rese vulnerabili dalle violenze domestiche, le quali hanno diritto alla protezione dello Stato, sotto forma di una prevenzione efficace, che li metta al riparo da forme altrettanto gravi di offese all’integrità della persona; –la causa De Giorgi contro Italia (16 giugno 2022), in cui il Tribunale italiano ha definito le violenze subite dalla donna e dai suoi figli come “comportamenti tipici delle separazioni conflittuali”, quando una donna ha denunciato sette volte il marito per violenza domestica contro di lei e i suoi figli: la denuncia è stata qualificata dalla magistratura come conflitto familiare; — la causa I.M. e altri c. Italia (10 novembre 2022): il caso riguardava l’accusa da parte dei ricorrenti (una madre e i suoi due figli) che lo Stato italiano era venuto meno al suo dovere di proteggerli e assisterli durante le sessioni di incontro durate per tre anni con il padre dei minori, tossicodipendente ed alcolizzato, accusato di maltrattamenti e comportamenti minacciosi durante le sessioni. Inoltre, i tribunali nazionali hanno sospeso la responsabilità genitoriale della madre, considerata un genitore “ostile ai contatti con il padre”, in quanto si era rifiutata di partecipare alle sedute, a causa dei precedenti del padre e delle preoccupazioni relative alla sicurezza.
Ma ritorniamo alle decisioni civili positive sopra segnalate. Il filo comune che le lega ( al di là della inapplicabilità ratione temporis della riforma Cartabia , ma della sicura applicabilità della Convenzione di Istanbul, almeno ai fini dell’interpretazione delle norme interne in senso ad essa conforme), lo si rintraccia nella loro storia processuale e consiste nell’emersione durante il corso processuale dei seguenti fatti:.
–nei provvedimenti provvisori e urgenti è stato quasi sempre previsto, in genere, l’affido condiviso, nonostante le allegazioni specifiche di maltrattamenti fisici, psicologici e economici e di deposito anche qualche volta di materiale tratto dai procedimenti penali in corso;
— le frequentazioni padre-figli hanno sempre avuto profili problematici diventando strumento di veicolazione di denigrazione nei confronti della madre e/o di controllo della stessa. In uno dei casi esaminati il momento del prelievo è stato anche fonte di ulteriori atti di violenza;
–le decisioni straordinarie da prendere nell’interesse dei figli sono quasi sempre state ostacolate dal padre con immotivati punitivi ritiri della sua autorizzazione a far partecipare i figli minori alle attività organizzate dalla scuola (quali qualsiasi attività extrascolastica, viaggi di istruzione e iniziative educative), diniego di consenso per il rilascio di documenti validi per l’espatrio e conseguente mancata partecipazione a viaggi all’estero anche con la scuola, uscita autonoma da scuola, impedimento finanche alla celebrazione della prima comunione; dal punto di vista sanitario mancato consenso alle cure ortodontiche, ecc.;
–omesso e/o parziale assolvimento dell’obbligo di contribuzione;
— gli operatori sociali e sanitari intervenuti e/o i CTU nominati hanno continuato a parlare di ‘conflittualità’ tra i genitori, alcuni hanno autorizzato e fatto eseguire gli incontri alla loro presenza e non in ambienti idonei tra padre e figli anche in presenza di un divieto di avvicinamento nei confronti delle parti, o è stato individuato un calendario di incontri in cui , senza informare il Giudice civile, è stato previsto che il padre riaccompagnasse il figlio presso la casa materna in vigenza di un divieto penale di avvicinamento alla madre; i CTU non considerano le allegazioni di violenza e/o il materiale istruttorio del processo penale depositato nel processo civile, affermando che non sono loro a dover accertare i fatti penali, che vige la presunzione di innocenza e non vi è sentenza definitiva e che si deve guardare al futuro e non al passato. In un caso vi è stato l’allontanamento del figlio dalla madre ‘malevola’.
La realizzazione della tutela si è avuta , dunque, in quei casi , pur conclusi con un esito finale positivo, a distanza di anni creando sicuramente danni proprio alle vittime di violenza e ai minori che si dovevano tutelare.
L’attenzione alla presenza di elementi che possano indicare la violenza domestica e il loro tempestivo riconoscimento, imporrebbe a tutti gli operatori, in primo luogo ai magistrati, ma anche ai difensori, ai responsabili del servizio socio assistenziale e socio sanitario, ai consulenti, di non applicare regole procedimentali standardizzate[30].
6. Conclusioni
In conclusione, si può sicuramente affermare che, nonostante siano evidenti i passi fatti nel contrasto alla violenza domestica/violenza assistita, vi è ancora molto da fare. E’ soprattutto necessario che in questi casi si attivi un intervento quanto più anticipato nel tempo, interrompendo il ciclo della violenza con azioni di tutela e sostegno, per impedire che si strutturino conseguenze gravi sullo sviluppo dei figli anche dovute a interventi tardivi . In tal senso occorre definitivamente abbandonare lo stereotipo culturale, ma non più giuridico, che un padre interessato ai figli e che non usa nei loro confronti violenza diretta sia un “bravo padre”, continuando a considerare la violenza assistita quasi come sia un’esperienza normale o normalizzabile. Infatti , come affermato dalla legislazione e dalla giurisprudenza esaminata, così non è in quanto il maltrattante dimostra, così facendo, uno scarso senso di attenzione e responsabilità verso la prole, nel momento in cui, comunque, la rende testimone di una violenza.
Si deve, a questo punto, tentare di invertire l’ottica giudiziaria anche nel settore civile, per evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria fonti di ulteriore pregiudizio, partendo da una presunzione di disfunzionalità/inidoneità del genitore violento in conformità a quanto previsto dall’art. 31 della Convenzione di Istanbul e dalla normativa esaminata, adottando tutti i provvedimenti conseguenti, ivi compresi il regime di affido esclusivo e di limitazioni e controllo delle frequentazioni con le cautele necessarie, ecc.[31]. Può darsi, d’altra parte, che il disvalore così mostrato al soggetto maltrattante lo induca a ripensare ai suoi agiti con un recupero della sua genitorialità in direzione non violenta .
Vale poi ribadire che le azioni di tutela e di sostegno atte ad estirpare il fenomeno richiede l’incremento di strumenti di protezione dei soggetti resi vulnerabili dalla violenza attuati con la formazione del personale, che a vario titolo è chiamato ad operare con loro. La formazione è centrale in questo percorso, perché le situazioni di violenza vanno prima di tutto riconosciute, spesso al di là delle dichiarazioni rese dai partecipi della relazione familiare. La scarsa preparazione degli operatori dei diversi settori , come si è avuto modo di vedere, può essere di ostacolo a una presa in carico sostanziale di situazioni che richiedono un intervento professionale qualificato e multidisciplinare, atto così a interrompere il ciclo della violenza e a contenerne i costi personali e sociali.
[1]La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata dal Consiglio d’Europa a Istanbul l’11 maggio 2011, sottoscritta dall’Italia il 27 settembre 2012, ratificata con legge 27 giugno 2013, n. 77, è entrata in vigore il 1° agosto del 2014, alla ratifica del decimo Paese firmatario. Il 1° giugno 2023, l’Unione europea ha concluso, con due decisioni del Consiglio, il processo di adesione alla Convenzione di Istanbul.
[2] Nel 9° Rapporto di monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (2015- 2016), approvato dal Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI), si legge che “per violenza assistita intrafamiliare s’intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuta attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologia, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. S’include l’assistere alle violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti anche a danno di animali domestici”.
[3] V.: https://www.istat.it/tavole-di-dati/il-numero-di-pubblica-utilita-1522-dati-trimestrali-del-III-trimestre-2024.
[4] Il 1522 è il numero di pubblica utilità messo a disposizione dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per sostenere e aiutare le vittime di violenza di genere e stalking, in linea con quanto definito all’interno della Convenzione di Istanbul . Esso è gratuito, garantisce l’anonimato e copre diverse forme di violenza per 24 ore al giorno e in 9 lingue diverse oltre l’italiano (inglese, francese, spagnolo, arabo, farsi, albanese, russo ucraino, portoghese, polacco).
[5] ‘II Indagine sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia’; v.: https://cismai.it/assets/uploads/2024/06/LA-VIOLENZA-ASSISTITA-TRA-PERCEZIONE-E-REALTA_MAI-PIU-INVISIBILI
[6] Si veda sul tema: il Rapporto dell’OMS “Violenza e salute nel mondo” (p. 141, 2002): “I bambini che assistono alla violenza tra genitori presentano un rischio più elevato per una moltitudine di problemi affettivi e comportamentali, tra cui ansia, depressione, scarsi risultati scolastici, basso livello di autostima, disobbedienza, incubi e disturbi fisici”; “Un bambino/a vittima di violenza, anche se solo assistita, subisce
conseguenze sulla salute fisica e mentale nel breve e nel lungo periodo, e avrà una probabilità maggiore di riprodurre o subire comportamenti violenti da adulto/a, sia in famiglia sia in altri contesti di vita” (WeWorld, 2019); Roberta Luberti e Caterina Grappolini (a cura di), Violenza assistita, separazioni traumatiche, maltrattamenti multipli, Erickson 2017,p.77 ss.; Luberti R., Pedrocco Biancardi M.T. (2005). La violenza assistita intrafamiliare. Percorsi di aiuto per bambini che vivono in famiglie violente, FrancoAngeli 2005; Gloria Soavi, Elena Buccoliero (a cura di), Proteggere i bambini dalla violenza assistita, Franco Angeli 2018.
[7] Per approfondimenti, si veda:https://www.istat.it/statistiche-per-temi/focus/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/i-fattori-di-rischio-e-la-trasmissione-intergenerazionale-della-violenza/
[8]Per approfondimenti si veda: https://terredeshommes.it/dnload/Tagliare_sui_bambini_studioTDH_Bocconi_Cismai.
[9] Si veda:’ Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia. L’ombra della povertà’ a cura di Valeria Emmi- CESVI 2019 https://www.cesvi.org/wp-content/uploads/2019/05/Indice-Cesvi_2019.pdf. Si afferma anche che “In questo senso gli studi sullo SROI (Social Return on Investment) ci aiutano a comprendere come investire sulle persone e prevenire e contrastare fenomeni quali il maltrattamento sui bambini/e produca un effetto positivo moltiplicatore, sia in termini sociali che in termini economici che non ha nulla da invidiare alle ricadute positive prodotte dagli investimenti nel “patrimonio”. Sul punto nella pubblicazione è richiamato, come esempio, l’analisi di WeWorld (2017) su una stima SROI dell’investimento in politiche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne in attuazione della Convenzione di Istanbul: per ogni euro investito in questo ambito si ottiene un effetto moltiplicatore di nove volte (https://back.weworld.it/uploads/2021/07/Analisi-Sroi_2017.pdf).
[10] A tale proposito, però, non si deve dimenticare la Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che impegna gli Stati membri ad adottare tutti i provvedimenti necessari affinché i fanciulli siano effettivamente tutelati contro ogni forma di discriminazione o sanzione e, a tal fine, stabilisce che in tutte le decisioni a essi relative – di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi –debba ricevere una considerazione preminente il loro interesse superiore.
[11] Cfr.: Cass. pen. SS.UU.,16.03.2016, n.10959; Cass.civ. 17.11.2021, n.35110; Cass. civ. ,Sez. Lav., 06.06.2024, n.15836; Cass. civ.,ord. 21.02.2025,n.4595 in https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti 27.02.2025; tutte in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer.
[12] Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria, relazione approvata dalla commissione nella seduta del 17 giugno 2021 commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1300287f
[13] Così, oltre al cit. Rapporto sulla violenza di genere e domestica, il Rapporto di Valutazione di Base Italia Gruppo di esperti/e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO) 2020, https://www.pariopportunita.gov.it/media/2191/primo-rapporto-grevio-sullitalia-2020; il Rapporto Rete D.I.re. ‘Il non riconoscimento della violenza domestica, https://www.direcontrolaviolenza.it/wp-content/uploads/2021/07/D.i.Re_Il-non-riconoscimento-della-violenza-domestica.
[14] In altre parole, il Giudice civile non può più seguire il vecchio paradigma per il quale giudizio civile e giudizio penale corrono su binari separati. La necessità di raccordo, d’altra parte, tra Autorità giudiziarie era stata già sottolineata in modo chiaro dal Consiglio Superiore della Magistratura in una apposita Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati di violenza di genere e domestica (delibera 9 maggio 2018), nel caso di indagini della procura ordinaria che riguardino i medesimi soggetti che siano parti nei giudizi civili o minorili in cui si ipotizzino condotte di abusi intrafamiliari. Lo stesso Legislatore nel varare il “Codice Rosso”, all’art.64 bis att. cpp, aveva già previsto la trasmissione obbligatoria dei provvedimenti al giudice civile “ai fini della decisione dei procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all’esercizio della responsabilità genitoriale”. Ma tali previsioni sono state per lo più prive di effetto pratico nelle prassi giudiziarie.
[15] Già nel 2010 la Suprema Corte, in sede penale, con sentenza n. 41142/2010 (in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer e in Altalex, 3 dicembre 2010), ha affermato che “il delitto di cui all’art. 572 c.p. deve ritenersi sussistente anche qualora lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime derivi non già da specifici comportamenti dell’agente, bensì da un clima negativo generalmente instaurato all’interno di una comunità di soggetti proprio in conseguenza degli atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi, consapevolmente, dall’agente medesimo. In tal senso, pertanto, a nulla rileva la entità numerica degli atti vessatori e la loro riferibilità ad una qualsiasi delle vittime del reato.” “La configurabilità del delitto di cui all’ art. 572 c.p. a danno dei minori non è esclusa nelle ipotesi in cui questi non siano stati l’oggetto diretto delle invettive, delle aggressioni e dei comportamenti anche moralmente distruttivi posti in essere dal padre in maniera diretta nei confronti della coniuge. In ipotesi siffatte, invero, non può non rilevarsi che i minori verosimilmente risentono del comportamento vessatorio posto in essere dall’agente nei confronti della madre” (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell’imputato, in ordine al delitto di cui all’art. 572 cod. pen., anche nei confronti dei figli minori, pur riconoscendo che gli atti di violenza fisica erano stati indirizzati solo alla convivente, avendo evidenziato con congrua valutazione di merito, incensurabile in sede di legittimità, le ricadute del comportamento del genitore sui minori, i quali avevano timore persino di andare a scuola per non poter difendere adeguatamente la propria madre e, quindi, assistevano agli atti vessatori del padre, ivi comprese le minacce di morte indirizzate alla madre).
[16] A riguardo vale sottolineare che l’accertamento dei fatti oggettivi è lo stesso, e ciò spiega le norme di raccordo tra le due giurisdizioni introdotte dalle riforme, di cui agli artt. 64-bis c.p.p. e 473- bis.42 c.p.c., mentre diversa è “ la valutazione dei fatti accertati perché il reato è un fatto tipico, di regola doloso, previsto da una norma di stretta interpretazione; l’illecito civile consiste in qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto e segnatamente, qualora si parli di danno non patrimoniale, qualunque fatto che leda beni costituzionalmente protetti (Cass. SU n. 26975 del 11/11/2008)”: v. così la cit. Cass., ord. 21.02.2025, n. 4595;
Cass. civ., ord., 20.03.2025, n.7409,in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer e in Altalex, 27 marzo 2025.. Pertanto, a fronte del medesimo fatto oggettivo, il giudice penale potrebbe assolvere o disporre una archiviazione della denuncia, mentre il giudice civile potrebbe ritenere sussistente un comportamento aggressivo e violento, rivelatore di non idoneità genitoriale.
[17] Nella specie, la Corte evidenzia che “ gli episodi a cui ha assistito il piccolo sono sicuramente numerosi al di là dei due episodi di violenza fisica accertati, essendo il bambino, di pochi mesi, a casa con i genitori e quindi inevitabilmente spettatore, se non in qualche modo coinvolto, nelle esplosioni di violenza verbale e fisica del padre nei confronti della madre (padre che frequentemente trascinava la compagna fuori dall’abitazione, privando quindi il minore, di tenerissima età, della presenza materna.)”, in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer e in Quotidiano giuridico 2023.
[18] In tal senso v. anche la più recente: Cass. pen. 20.06.2024, n.30624, Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer e in Quotidiano giuridico 2024.
[19] V. Cass. pen.,4 Aprile 2024, n.17845, in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer e in Quotidiano giuridico 2024; v. anche Cass. pen. 12.05.2025, n. 17857, in https://www.osservatoriofamiglia.it 13.05.2025.
[20] V. Cass. pen.04.01.2021, n.74, in Studium juris, 2021, 9, 1114; Cass. pen. 10.12.2014 n.4332, in Quotidiano giuridico 10.02.2015.
[21] Sul punto in motivazione: Cass. pen. 17.01.2025, n.2079 ( https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17519964, 21.01.2025), che ha anche rigettato il motivo formulato dal ricorrente in ordine alla idoneità della misura coercitiva applicata del divieto di avvicinamento alla figlia e al del divieto di comunicazione con la stessa a ledere il rapporto tra padre e figlia, “in quanto non si confronta con la necessità prioritaria di preservare l’equilibrio psicofisico della minorenne in ottemperanza al principio dell’interesse preminente del minore. Questo principio, sancito da una pluralità di strumenti normativi internazionali e dell’Unione Europea e dagli artt. 30 e 31 Cost., impone che in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (o dell’ “interesse superiore”) del minore (C. Cost., sentenza n. 102 del 2020). La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, ritenuto, in tema di maltrattamenti in famiglia, che è legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell’indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del best interest of the child, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali (Sez. 6, n. 20004 del 12/03/2024, S., Rv. 286478 – 01).”.
[22] Si ricorda che la Suprema Corte recentemente ha affermato: “ (…) si è fatta strada l’idea che l’azione penale, essenzialmente repressiva, non è sufficiente a tutelare le vittime di questi abusi e che occorre un intervento rapido e tempestivo da parte del giudice civile, cui il legislatore ha affidato strumenti idonei non solo a proteggere la vittima ma anche a prevenire l’escalation della violenza. Questa è in definitiva la finalità della misura dell’allontanamento dal domicilio e del divieto di avvicinamento non quella di sanzionare l’aggressore, ma di impedire che egli venendo a contatto con la vittima possa reiterare le stesse condotte pregiudizievoli ovvero tenerne di più gravi.” (così la cit. Cass., ord., 21.02.2025,n.4595) .
[23]V.: Cass. civ., 06.07.2022, n.21425, in Famiglia e Diritto, 2022, 10, 950; Cass. civ. 24.03.2022, n. 9691, in Nuova Giur. Civ., 2022, 4, 867 ; in tal senso, v. anche il parere della sostituta procuratrice generale della Corte di cassazione, dott. F. Ceroni, 15.03.2021, in Il Sole 24 Ore 22.03.2021, e la cit. Cass. pen. n.2079/2025. Ma in genere già la Suprema Corte, con orientamento consolidato, ha affermato che : “ “L’individuazione del genitore affidatario deve avvenire all’esito di un giudizio prognostico che il giudice compie, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, in merito alle capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’ unione, tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui il padre e la madre hanno in precedenza svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità di ciascun genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore. L’affidamento esclusivo è dunque possibile solo quando l’affidamento ad un coniuge risulti contrario ovvero lesivo dell’interesse del minor ‘. “Il procedimento di individuazione del miglior interesse del minore (best interests nella formula in lingua inglese dell’art. 3 della Convenzione di New York del 1989) è un procedimento che rifugge da automatismi e richiede di tener conto tutte le circostanze di fatto che connotano il caso, nonché della incidenza del fattore tempo – sia in senso positivo che negativo – e dei desideri della aspirazioni e delle opinioni dello stesso minore”, tra le tante: Cass. 08.02.2024, n.3576, in Famiglia e Diritto, 2024, 4, 406; Cass. 19.07.2024, n.19103, in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer; Cass. 17.5.2021, n. 13217, in Famiglia e Diritto, 2022, 3, 262 ; Cass. 16.02.2018 n.3913, in Il caso.it, 2018; Cass.,ord., n. 19.07.2016, n. 14728,in CED Cassazione, 2016; Cass. 23/09/2015, n. 18817, in Foro It., 2016, 1, 3, 902; Cass. Sentenza 27.06.2006,n. 14840, in Foro It., 2007, 1, 1, 138 .
[24] Si ricorda, in tal senso, l’introdotto art. 473-bis.42 2° co, cpc: “ Il giudice e i suoi ausiliari tutelano la sfera personale, la dignità e la personalità della vittima e ne garantiscono la sicurezza (…)”.
[25] Così: Cass. civ. 16.09.2024, n.24726, https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17519462.html 17.09,.2024. Nella specie, “sia il Tribunale sia la Corte d’Appello non hanno compiuto alcun accertamento sui fatti di violenza, anche assistita riguardo ai minori, dedotti dai ricorrenti. Neppure emerge che la Relazione dell’Equipe Multidisciplinare dei Servizi Specialistici, acquisita dal Tribunale, insieme alle Relazioni dei servizi sociali, abbia tenuto conto di tali fatti denunciati (oggetto di procedimento penale per maltrattamenti per il quale il C.C. era rinviato a giudizio) nel vagliare la personalità e la capacità genitoriale del padre. Ma, in ogni caso, l’accoglimento del motivo in esame comporta la necessità di nuovo esame da parte del giudice di rinvio sulla personalità e capacità genitoriale del padre”. La fattispecie considerata riguarda un caso di violenza domestica in costanza di una convivenza cessata nel 2020 a causa delle violenze perpetrate dal partner (specificatesi in atteggiamenti violenti e aggressivi un tentativo di strangolamento, pugni sul volto e sulla pancia ,nonostante lo stato di gravidanza, atteggiamenti aggressivi e violenti agiti in presenza dei figli, violenza economica, continue minacce di disconoscere i figli e di lasciarli per strada, minacce di morte anche a mano armata, ecc.. Vi è poi l’abuso di alcool e numerosi incidenti stradali). La donna muore in un incidente stradale e i figli sono affidati provvisoriamente ai nonni materni. Questi si rivolgono al Tribunale per i Minorenni di Perugia chiedendo adottarsi un provvedimento di sospensione della responsabilità del padre e quindi la decadenza o comunque a loro affidarsi in via esclusiva i tre nipoti. I ricorrenti depositano nel procedimento il materiale tratto dai procedimenti penali in corso per i reati di cui all’art. 572 c.p. e 612-bis e 81 c.p., e in particolare le sommarie informazioni rese da oltre dieci informatori, che confermano i comportamenti violenti e la relazione del Centro antiviolenza con la valutazione del rischio. Il TpM di Perugia dispone acquisirsi dalla equipe multidisciplinare Umbria 1 valutazione sulle caratteristiche personologiche e competenze genitoriali. Il giudice minorile, con decreto del 2022, respinge il ricorso, revoca l’affido ai servizi sociali, affida i minori al padre prevedendo la vigilanza dei SS e attribuendo loro il compito di eseguire il provvedimento e di regolamentare le frequentazioni con i nonni, prevede l’inserimento del servizio ADE, invita tutte le parti e seguire percorsi psicologici. La Corte di Appello di Perugia, con decreto del 24.08.2023, respinge il reclamo, non ritenendo sussistente un pregiudizio per i minori, emergendo la piena adeguatezza del padre durante gli incontri protetti svolti con i figli; respinge la richiesta di CTU e evidenzia l’atteggiamento svalutante dei nonni nei confronti della figura paterna tanto da aver ingaggiato una battaglia legale e che dalla relazione della equipe multidisciplinare , emerge che i nonni non sono recuperabili per una proficua collaborazione col padre. Dispone gli incontri protetti con i nonni. La Corte, inoltre, afferma che il materiale penale versato in atti non risulta allo stato comprovato e, comunque, non comporta diretto pregiudizi per i minori e non giustifica in ogni caso l’allontanamento del padre. In particolare specifica che “il futuro esito del procedimento penale, allo stato, non rileva ai fini del collocamento dei minori presso il padre, atteso che, in ogni caso, il superiore interesse dei tre bambini rimane quello di poter vivere con l’unico genitore rimasto in vita, dovendosi scongiurare a tutti i costi l’eventualità di un ulteriore trauma derivante dalla perdita di un’altra figura di riferimento primaria”.
[26] Così: Cass. civ. 30.04.2024, n.11631, in Foro It., 2024, 1, 6, 1786. Anche in tale fattispecie si verte in una situazione di violenza domestica con rifiuto della figlia di avere rapporti col padre, mentre per il recupero di tale rapporto i giudici di merito hanno previsto un percorso individuale dei genitori , seguito da uno congiunto, e infine un percorso individuale di preparazione della minore. Nella specie, la Suprema Corte ha dichiarato d’ufficio la nullità della sentenza di appello di separazione, limitatamente- per quanto qui di interesse- all’affidamento della figlia minore ai servizi sociali e alle misure conseguenziali di vigilanza, senza previa nomina di un curatore speciale. Nel contempo, sottolineando che -appunto- nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, in presenza dell’allegazione di fatti di violenza domestica, il giudice, ove non escluda tali fatti, al momento in cui adotta i “provvedimenti convenienti” di cui all’art. art. 333 c.c., è tenuto a valutare la compatibilità delle misure adottate con il rischio che, nel caso concreto, si verifichino situazioni di vittimizzazione secondaria, ha affermato che tale valutazione deve senza dubbio essere effettuata quando il giudice ritiene di disporre “colloqui congiunti” dei genitori con gli operatori dei servizi sociali, i quali – pur distinguendosi dalla vera e propria attività di mediazione o conciliazione, espressamente esclusa dall’art. 48 della Convenzione di Istanbul – comportano, comunque, una interazione tra i coniugi, che può essere foriera di nuovi episodi di violenza, anche solo psicologica, che la Convenzione mira ad evitare. Nella specie, e per tali motivi ha ritenuto il vizio della sentenza impugnata laddove ha previsto “colloqui congiunti” dei genitori con gli operatori dei servizi sociali, senza che sia stata esclusa l’effettiva esistenza delle dedotte condotte di violenza.
[27] Così: cit .Cass. ord. 21.02.2025, n.4595 (v. anche Cass. ord.15.04.2925, n.9888 in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer). Nel caso esaminato , dopo una separazione consensuale omologata con decreto del 06.02.2019, nella quale è stato previsto l’affido condiviso dei due figli minori e il collocamento presso la madre, il padre si rivolge al Tribunale di Modena ex art. 709-ter c.p.c. lamentando di non riuscire ad esercitare il diritto di visita dei figli. Il Tribunale affida i figli minori ai servizi sociali competenti incaricandoli di regolare le frequentazioni con il padre e di avviare interventi di supporto alla genitorialità. Avverso detto decreto propone reclamo la madre innanzi la Corte di appello di Bologna, riferendo le violenze agite dal padre anche alla presenza dei figli, vicende cui nel tempo si erano aggiunti comportamenti aggressivi diretti ai danni dei figli. Viene espletata CTU. La Corte d’Appello respinge la richiesta relativa all’affidamento esclusivo rilevando che dalla consulenza tecnica di ufficio emerge come la madre abbia messo in atto un processo progressivo e cronico di denigrazione e delegittimazione della figura paterna che ha indotto nei figli, in particolare nel figlio maggiore, una avversione presso il padre; emerge anche la totale incapacità di collaborazione tra i genitori con una radicale mancata accettazione del ruolo dell’altro genitore. Ha quindi ritenuto l’affidamento ai servizi sociali con visite controllate e supportate dai servizi (e da NPIA) la migliore soluzione per i minori. Il Giudice di legittimità, dunque, cassa il decreto in punto di affidamento e diritto di visita del figlio minore con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, affermando -tra le altre approfondite e plurime motivazioni- anche l’errore del giudice di merito, che affidandosi totalmente alla valutazione del consulente e limitandosi a recepirle acriticamente, “non ha neppure verificato se – come deduce la madre- alla radice del disagio dei minori vi fossero effettivamente atti violenti commessi dal padre, ovvero altre ragioni di rifiuto oggettivamente giustificabili. Sottovalutare – o peggio non considerare- la allegazione di violenza domestica e di violenza assistita, costituisce un errore rilevante poiché si tratta di fatti che integrano, ove provati, uno di quei gravi motivi che giustificano, secondo i casi e il prudente apprezzamento del giudice, la sospensione dei contatti tra il genitore e il figlio ovvero la limitazione dei contatti e il loro svolgersi in modalità protetta o assistita”. E ancora: “Nel decreto della Corte d’Appello di Bologna non sono riportati -neppure per sommi capi- i comportamenti che la madre avrebbe tenuto, né i comportamenti del padre e non vi è alcun riferimento all’osservazione dei comportamenti dei figli nel relazionarsi con i genitori, nonostante, come riferiscono le parti, siano stati disposti degli incontri assistiti tra i figli e il padre sui quali il servizio sociale ha riferito.”.
[28] Cfr.: App. Roma,15.10.2013 in http://www.studiolegalefarina.com/ notizie/15/ appromasent_15_10_2013_.html ; Trib. Roma 11.03.2014 in Altalex 17.04.2014; Trib Roma 27.01.2015, n.1821 in Redazione Giuffrè 2016; Trib. Parma, 04.12.2017 in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer; Trib. Trani,29.01.2018 in Diritto 24 del Sole 24 0re del 21/12/2018; App. Roma, Sent., 01/10/2023, n. 6232 in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer; Trib. Venezia,27.06.2023 in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer; Trib. Verona 13.09.2024 in Banca dati giurisprudenza-on line- One legale-Wolter Kluwer; Trib. Bergamo, 27.06.2024 in https://apps.dirittopratico.it/sentenze.html. In tale ultima sentenza il giudice ha osservato che la Convenzione di Istanbul “contiene principi generali applicabili anche ai procedimenti c.d. “vecchio rito” (v. Cass. ord. n. 11631/2024) e all’art. 31 impone di tener conto delle condotte violente nell’emettere i provvedimenti relativi all’affidamento e alla disciplina del diritto di visita, in tal modo introducendo una sorta di presunzione di disfunzionalità in capo al genitore violento”. Nel caso in esame, l’accertata commissione di gravi condotte violente poste in essere dal sig. ### ai danni dei figli e della moglie giustifica pertanto una limitazione della sua responsabilità genitoriale.”.
[29] Si veda in tal senso: il cit. rapporto Grevio 2020 ; nel rapporto a cura dell’associazione D.I.re. pubbl. nel luglio 2021 “Il non riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni “ dalle rilevazione effettuate , si evince che i Tribunali dispongono l’affidamento condiviso tra i genitori, anche in presenza di denunce, referti, misure cautelari emesse in sede penale, decreti di rinvio a giudizio, sentenze di condanna e relazioni del Centri Antiviolenza: 88.9% dei casi Tribunale ordinario e 51,9% Tribunale per i Minorenni; nel rapporto del maggio 2022 la Commissione Parlamentare parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere ha rilevato che nel 96% delle separazioni che coinvolgevano la violenza alle donne, i tribunali non consideravano la violenza rilevante per l’affidamento dei figli e delle figlie. Tali dati infine sono confermati ancora GREVIO 2024 Primo ciclo di valutazione tematica Italia rapporto delle Associazioni di donne pubblicato nel giugno 2024 . Nelle motivazioni di tali provvedimenti prevale in genere una visione adultocentrica della problematica, in cui la violenza viene sminuita e giustificata, per es. dalla mancata accettazione della separazione, dai limiti caratteriali del padre e dalla necessità di affrontare un percorso psicoterapeutico, e in cui “l’affido esclusivo alla madre finirebbe per togliere ogni possibilità di riequilibrio nei rapporti tra padre e figli, laddove invece è importante la responsabilizzazione dello stesso proprio attraverso la conferma dell’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso la madre”. In alcuni casi le madri maltrattate sono finanche invitate a rendere accessibile il rapporto padre-figli in una logica dialogica di condivisione con chi il dialogo lo ignora, imponendo anzi un unico punto di vista basato sulla forza e la sopraffazione. In una parola, il best interests dei minori recede rispetto al diritto alla bigenitorialità, e non si considera il pregiudizio che dagli atti di violenza allegati analiticamente, e supportati anche in alcuni casi da denunzie e atti dei procedimenti penali, dalle relazioni del Centro antiviolenza, ecc., deriva ai minori esposti ai comportamenti violenti. Si dimentica in tali casi che, finanche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 333 c.c. , “non occorre che la condotta del genitore abbia già causato un danno al figlio, poiché la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l’obiettiva attitudine di quest’ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno (per tutte: Cass.,, 11 ottobre 2021, n. 27553 in CED Cassazione, 2021; Cass. 16/09/2024, n. 24710, in Quotidiano Giuridico, 2024).
[30] In tal senso si pensi per tutte, per esempio, alla introduzione, in vigenza della riforma Cartabia, dei procedimenti civili, innanzi il Tribunale per i Minorenni, su istanza del P.M.M. , che ha avuto notizia di casi di violenza domestica e di violenza assistita dal P.M. del Tribunale ordinario o dalle forze dell’ordine o dai Servizi sociali , con acquisizione della documentazione. Il P.M.M. con ricorso, in cui non sono riportate le allegazioni di violenza, richiede al TPM di adottare un provvedimento ex art. 333 c.c. per affermata ‘incapacità educativa dei genitori’. Inoltre, atteso che gli interventi previsti dalla l. 184/83 si ‘sono rilevati inefficaci’ ….ovvero vi è urgenza di provvedere per i maltrattamenti del padre contro la madre, chiede che il Tribunale, previa nomina di un curatore speciale, disponga l’affidamento del minore al Servizio sociale per un’azione di sostegno….”. Il TPM con decreto nomina il curatore speciale, incarica il SS di depositare una approfondita relazione sociale, informa le parti che “possono avvalersi della mediazione familiare presso i centri di mediazione privati… ricevendone informazione presso i consultori familiari o i centri di ascolto per le famiglie” (v. in tal senso: decr. Trib. Min. Bari 17.12.2024, decr. Trib. Min. Bari 24.09.2024 , decr. Trib. Min. Bari 17.01.2025 e altri di uguale tenore, inedite per essere i procedimenti in corso). Trattasi, a ben vedere di decisioni standardizzate, applicate a casi diversi, ivi comprendendo anche le situazioni in cui la madre maltrattata non ha evidenziato alcuna inidoneità genitoriale, ma ha protetto i figli denunziando il maltrattante e allontanandolo. Eppure, il giudice minorile, e così prima il ricorrente P.M.M., senza alcuna sommaria indagine preliminare e senza alcuna valutazione finanche degli atti penali acquisiti, ha previsto la nomina di un curatore speciale ritenendo – senza alcuna motivazione- la inidoneità educativa anche della madre senza che vi sia alcun fatto predittivo -si ripete- di tale carenza genitoriale. In tale parte il provvedimento si pone in contrasto, in quanto immotivato, con l’art. 473-bis.8 c.p.c., che appunto prevede la nomina del curatore, oltre che nei casi specifici tipizzati, quando, con accertamento caso per caso, i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore.
Inoltre, non considera in alcun modo l’impatto sulle donne -madri maltrattate- che si sentono accusate dall’Autorità giudiziaria di ‘inadeguatezza genitoriale’, pur dopo aver deciso di allontanarsi con i figli dal soggetto violento, e leggono in detto atto l’attuazione delle minacce a loro rivolte dal maltrattante, in concomitanza con la comunicazione della volontà di separarsi , di far intervenire i servizi sociali per l’inserimento in comunità dei figli (v. sul punto anche: Lusini, I procedimenti minorili de responsabilitate tra tutela del superiore interesse del minore e profili di vittimizzazione secondaria, in L’Osservatorio sul diritto di famiglia-diritto e processo, fasc.1-2023,pp 60 ss.).
Si tratta di un approccio molto preoccupante (e così fonte di vittimizzazione secondaria), poiché nei fatti il giudice minorile, in maniera ‘standardizzata’, ha equiparato il genitore violento al genitore abusato, finanche invitando le parti alla ‘mediazione familiare’ anche in palese violazione dell’art. 48 della Convenzione di Istanbul e dell’art. 473-bis.43.
[31] V. anche: C. Bernardi, L’allegazione di violenza vincola il giudice nella conduzione del processo e nella sua decisione finale, nota a App. Catanzaro 05.12.2023, in L’Osservatorio sul diritto di famiglia-Diritto e processo, fasc.1/2-2024, pp.33 ss..
